Alle 18.30 di un pomeriggio d’estate sono andata all’Ufficio Postale per comprare cinquanta francobolli. Sapevo da una precedente esperienza o forse, più probabilmente, da una storia origliata, che alle Poste si può “ormai” pagare tutto con il bancomat o la carta di credito, ma non si possono pagare i francobolli. A Pordenone esiste (o forse esisteva) uno specifico sportello filatelico aperto solo al mattino, ma non avendolo individuato in quel di Vercelli mi sono detta che forse, dei francobolli normali, di serie, si potessero trovare ad ogni ora.

Avrei dovuto andare subito da un tabacchino ma “chissà” mi sono detta “se di questi tempi tengono ancora i fogli di francobolli o ne hanno solo qualcuno”.

Alle Poste l’impiegata allo sportello mi ha confermato che si possono pagare soltanto in contanti e che

“Lo sportello filatelico è chiuso al pomeriggio.”

Esiste anche a Vercelli insomma, che io l’abbia visto o meno.

Così, rassegnata, ma in fondo soddisfatta di aver visto confermato ciò che chissà come era sedimentato nella mia mente, sono entrata al tabacchino. Che sì, aveva ancora tutti i francobolli che mi servivano, ma no, neppure lì quelli si possono pagare con il bancomat.

Ho fatto quei 500 metri cercandoci strada facendo una qualche risposta degna di motivarli.

E poi lì, proprio lì, allo sportello del bancomat, giacevano 20 centesimi abbandonati.

Ora vi aspetterete da questo post un moto d’indignazione e di rabbia, di fastidio per il tempo sprecato, di irritazione per l’arretratezza del sistema postale: sarebbe molto facile e così facendo mi potrei guadagnare anche un facile consenso. Ma non mi sarei messa a scrivere tutte queste righe se vi volessi portare lì.

Forse ci starebbe bene anche un finale sulla serendipità del francobollo, sul fatto che il caso mi ha portato a godere di 20 centesimi guadagnati senza fatica, ma beh, non sarebbe un finale così interessante.

Mentre tornavo a casa alleggerita di 40 € (già, perché per chi non lo sapesse oggi come oggi spedire una busta chiusa costa 0,80 €, ero rimasta ai 0,65 €: di buste, davvero, non ne spedivo da un po’), ma coi miei venti centesimi in tasca mi sono resa conto che in fondo ero stata fortunata: le poste al pomeriggio sono chiuse quasi ovunque e se anziché comprare 50 francobolli avessi avuto bisogno di spedire una lettera, una raccomandata o un pacco avrei potuto farlo.

E poi mi sono resa conto che forse, avessi avuto più fretta, mi sarei arrabbiata per non aver potuto fare le cose come faceva più comodo a me senza conoscere le ragioni degli altri, le ragioni di un sistema, quello dei francobolli, che in fondo sono la prima a non abitare più con tanta frequenza da almeno vent’anni.

Mentre tornavo a casa coi miei cinquanta francobolli ho avuto l’impressione di compiere un gesto antico con una ritualità che non ha avuto motivo di aggiornarsi ai tempi moderni, un gesto che si può permettere il lusso di vivere di vita propria. In fondo ho comprato 50 francobolli perché volevo poter attaccare nelle buste qualcosa di diverso da quegli adesivi bianchi prestampati senz’anima che in posta attaccano quando si va a spedire qualcosa.

E mi sono resa conto che forse invecchiando la mia mente sta diventando sempre più semplice, sempre più facile all’indignazione, sempre più abituata a pretendere un mondo alla mia dimensione, quasi che le mie esigenze, in quanto ragionate e logiche (se si può pagare tutto col bancomat perché i francobolli no?) debbano per forza trovare una risposta cucita addosso alle mie necessità, indipendentemente dall’insignificante peso rispetto al mondo delle stesse.

Tornando a casa ho provato a verificare su internet quanti cori si fossero mossi in questi anni indignati dal modo in cui si possono pagare i francobolli: ebbene, nessuno ha aperto forum, gruppi su Facebook e scritto lettere sui giornali, anzi, ho anche scoperto che ordinandoli on line i fogli di francobolli si possono pagare con la carta di credito e vengono spediti direttamente a casa.

E allora ecco che forse se il mondo dei francobolli resta agganciato al tempo in cui rappresentavano uno dei momenti più cari delle persone (le lettere ai parenti e agli amici, le cartoline, i biglietti d’auguri) è perché forse non ha avuto bisogno di adeguarsi al tempo odierno. 

Qualche volta è utile fermarsi e pensare che va bene così. Che le cose accadono o sono diverse dai confort che pensiamo ci siano dovuti. Che le nostre priorità non sono per forza assolute, anzi, urlare più forte degli altri non aiuta ad avere ragioni migliori.

Come se fosse giusto pensare spettasse ad altri disegnarci il mondo attorno, pagandone costi e investendoci del tempo, e non a noi trovare il modo più giusto per costruirne modi di starci migliori per tutti.

Che poi a trovare una soluzione diversa da quella che si aveva in testa può capitare pure di guadagnarci. Anche solo 20 centesimi.

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