Credo di aver partecipato ad enne manifestazioni contro il finanziamento delle scuole private da ragazza. Poi uno dei miei riferimenti politici sul tema ha ricoperto il ruolo di Assessore regionale all’istruzione e ci ha spiegato che sì, poteva contenere i fondi da destinare alle scuole private paritarie, ma no, contrariamente a quanto avevamo per anni creduto, a quanto aveva per anni sostenuto, eliminare di punto in bianco i finanziamenti alle scuole private non lo poteva fare neppure lui.

“Ma come! E l’articolo 33 della Costituzione dove lo mettiamo? ...Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato…

Ma la Costituzione non è una raccolta di slogan.

Quando venne scritta la Costituzione l’asilo di Chions, paese di poco più di 2000 abitanti, già c’era, tant’è che ha da poco compiuto 100 anni. Una lunga lotta intestina in paese sentenziò, agli inizi del secolo scorso, che sarebbe stata un’opera gestita dalla parrocchia e non dal Comune e così fu, tant’è che ancor oggi è il Consiglio Pastorale a far tornare tutti gli anni i conti. Gli asili sarebbero stati rinominati Scuole Materne molti, molti anni dopo, nel 1969 e forse la lungimiranza di quel momento fu assai breve se ancor oggi in tantissimi paesi, almeno al nord, le Scuole per l’infanzia vivono di rette, contributi pubblici, lotterie e torte vendute sul sagrato della Chiesa.

Degli asili, della loro natura di scuole e del loro appartenere alla categoria degli enti privati a cui lo Stato finanzia qualcosa non pensiamo mai. Così quando ci rendiamo conto che basta tagliare loro qualche migliaio di euro per vederli chiudere ecco che qualcosa nel nostro ragionamento s’inceppa: caspita non stiamo parlando dei licei dell’elite cittadina…

Con il dibattito lanciato qualche giorno fa dopo la pronuncia della Cassazione sull’Ici e le scuole religiose di Livorno il tema del rapporto tra Stato e scuole paritarie si è riaperto e per l’occasione il Corriere della Sera ha fornito uno schemino abbastanza esaustivo: non c’è regione dove per paritarie non si considerino al 70% o più le scuole per l’infanzia.

Di campagne elettorali per le elezioni comunali nei paesi del nord est ho avuto la fortuna di seguirne un bel po’ e mai una volta che qualcuno abbia messo in programma la creazione di una scuola per l’infanzia pubblica a sostituzione di quella parrocchiale. E pensare che di questi tempi più di qualche parrocchia se ne disferebbe volentieri: i soldi non cadono dal cielo neppure a loro.

Dal mio stupore di poco più che ventenne allo scoprire che la scuola paritaria contro cui si puntava il dito era in prevalenza l’asilo del mio paese sono passati anni.

Chissà se l’indignazione e i richiami all’articolo 33 sarebbero gli stessi se gli asili anziché scuole si considerassero “associazioni per l’infanzia”.

Su molti portali on line in questi giorni è stato ripreso il dibattito parlamentare ai tempi dell’approvazione di quel “senza oneri per lo Stato”. Scartabellando un po’ si possono verificare le fonti e scoprire che sì, chi presentò l’emendamento “senza oneri per lo Stato” lo giustificò dicendo che no, non s’intendeva vietare per sempre i contributi dello Stato alle Scuole private, ma renderli semplicemente un non dovere dello Stato verso chi decideva di aprire una scuola. Non credo sia giusto aggrapparsi ad una discussione del passato, tanto più quando in ballo c’era un voto e possiamo solo immaginare gli escamotage dialettici che ognuno poteva cercare per tirare acqua al proprio mulino, è però interessante osservare lo stato delle cose in quel momento, evidenziate in quel momento da Gronchi: senza finanziamenti pubblici che sarebbe stato delle scuole professionali all’epoca di natura privata?

Quella riga dell’articolo 33 della Costituzione a cui tanto ci si aggrappa nell’interpretazione in cui lo si vuole intendere oggi non ha mai avuto davvero vita insomma, neanche quando degli asili ci si preoccupava poco. E pensandoci oggi, guardandomi attorno, non ha mai avuto neppure un briciolo di senso. Davvero quello Stato che finanza le ristrutturazioni delle aziende private, che sovvenziona la libera impresa, che elargisce fondi per iniziative culturali indipendentemente da dove e come saltino fuori, che da tempo sostiene la sanità privata finanziandola amabilmente è anticostituzionale nel momento in cui sovvenziona delle scuole e in particolar modo degli asili, che in tanti casi sopravvivono da più tempo dello Stato stesso – realtà che in tanti anni nessuno ha avuto il coraggio di sopprimere a favore di un servizio di Stato?

Sospetto di no. Che poi non ci debbano essere favoritismi fiscali alla Chiesa od altre realtà prima che qualche europarlamentare ci punti il dito contro come accaduto con la Grecia, è ovvio, che un controllo rispetto a cosa si va a sovvenzionare è naturale ci debba essere, ma qualche domanda un po’ diversa su quale sia il compito dello Stato rispetto all’istruzione forse sarebbe il caso di cominciare a porcela. Perché se è vero, e lo vediamo ogni giorno, che il pubblico sovvenziona in nome di tante cose e in tanti modi, tra cui la cultura, mostre, sagre, feste di paese, fiere, incontri mondani allora ecco che qualcosa mi manca nel capire quali sono le barricate, oggi, che possiamo tirar fuori per non sostenere chi chiede un contributo per insegnare ai suoi iscritti qualcosa.

Tanto più quando parliamo di realtà simbolo di una comunità, pezzi di storia di territorio.

“Ma esiste la Scuola Pubblica!”

No, in un sacco di posti non esiste: perché in un sacco di casi che l’asilo sia di Stato, religioso, laico o chichessia l’importante è che ci sia e costi il giusto. E magari le maestre non si arrabbino se si tarda nel venire a prendere il piccolo.

Pensando ai finanziamenti alla scuola talvolta mi chiedo: se esistesse una cultura di Stato finirebbero le camere caritatis davanti alle porte degli uffici cultura?

In quella stessa discussione sull’articolo 33 -all’epoca art. 27 -della Costituzione c’è un bel passaggio di Luigi Einaudi durante la sua dichiarazione di voto contraria all’emendamento “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole e istituti di educazione”, nel passaggio precedente al voto per l’aggiunta “senza oneri per lo Stato”:

“Dichiaro che voterò contro questo emendamento come avrei votato contro l’articolo 27, così come era stato proposto dalla Commissione, perché ritengo che questo articolo consacri non la libertà della scuola, ma la sua schiavitù.”

La riflessione di Einaudi, in quel 29 aprile del 1947, rivolta all’intero articolo che prima invoca la libertà d’insegnamento e poi propina esami di Stato per ogni cosa, torna fuori puntualmente. E io comincio a pensare che forse guardasse lontano e che il dibattito “di questo passo diventeremo come gli Stati Uniti” si dimentichi che qui sono ben altre le carte che potremmo invece giocarci. Magari, ad esempio, il compimento del primo rigo di quell’articolo 33:

L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento.”

[No, questo non significa rinunciare a voler vivere in un Paese dove a tutti sia garantita un’istruzione di qualità gratuita. Sì, magari qualche anno fa queste cose non le avrei mai pensate. Ma tra qualche Coderdojo e qualche corso online ogni tanto mi faccio delle domande…]

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