La frase che ho scelto per il titolo di questo post (che rinvio da troppo tempo di scrivere) è di Franco La Torre, autore di un libro per me molto forte, come lo sono forse sempre i racconti scritti dai figli che portano sulle spalle il peso della storia dei propri padri.
Il libro è “Sulle ginocchia. Pio La Torre, una storia” (ed. Melampo) e lo presenteremo sabato 21 novembre alle 10.30 presso la libreria S.Andrea di Vercelli con l’A.N.P.I., l’associazione nazionale partigiani d’Italia, di cui faccio -gioiosamente- parte. Franco La Torre, che tra le tante cose si occupa di Libera in Europa, ha accettato di venire a Vercelli facendoci, per me, un grande favore. Domani sera sarà infatti a Cuneo e nel pomeriggio di sabato sarà invece impegnato per un incontro a Novara: Vercelli si conferma, per fortuna, città di passaggio, da tanti punti vista.
All’evento parteciperanno anche alcune persone che fanno parte del Presidio Libera “Giuseppe Di Matteo” di Saluggia (VC), un territorio forse non solo vicino a dove le inchieste dimostrano che le attività criminose di stampo mafioso si sono ormai radicate “bene”. (Tra l’altro la sera del 21 novembre organizzeranno a Saluggia una cena per raccogliere fondi destinati a realizzare percorsi di legalità all’interno delle scuole del territorio.)
La storia di Pio La Torre è la storia di una vita attraversata in prima persona, in prima linea, dalle lotte a fianco dei braccianti agricoli della Sicilia del dopoguerra, alla lotta alla mafia, al No alla base NATO di Cosimo. Franco La Torre racconta tutto questo attraverso i suoi occhi di figlio, togliendosi anche, forse, qualche sassolino dalla scarpa rispetto a quanto vissuto dopo la morte del padre, ucciso dalla mafia nel 1992, lasciando tralasciare non poche critiche rispetto all’incapacità di una parte politica di volersi fare carico dell’eredità lasciata da suo padre e tanti altri. La cronaca porta facili esempi: da Mafia Capitale ai comuni sciolti per Mafia non mancano gli esempi di una classe politica che si fa complice e a volte cieca rispetto al malaffare.
C’è un passaggio in quel che scrive che mi ha colpito molto e che spiega anche molto bene perché la difesa della Costituzione oggi passa anche, assolutamente, dalla lotta alla mafia e all’educazione di ognuno di noi a rieducarsi continuamente alla legalità:
“Se penso alla nostra classe politica, in generale e al di là delle simpatie, mi domando: dopo trent’anni, come mai non è stata all’altezza della sfida? Perché non ha saputo opporre al sistema di potere politico-mafioso l’attuazione piena della Costituzione? Non ha compreso la vera posta in gioco: che a repentaglio non era la vita di persone oneste ma il destino di una nazione? Ha sottovalutato il pericolo o si è voltata dall’altra parte? Ha pensato che fosse possibile con chi fa carne di porco dei diritti democratici? Non ha proprio capito o ha fatto finta di non intendere? Ha compreso la drammaticità della situazione e non ha trovato la forza e il coraggio di reagire? Ha preferito partecipare al banchetto, facendo finta di essere lì per caso? Sono tutte domande alle quali vorrei rispondessero i protagonisti di questa lunga stagione politica, durata oltre trent’anni, durante i quali il nostro Paese è rimasto inchiodato, bloccato, impedito dalla palla al piede del malaffare, della corruzione, nutrito dalla peggiore cultura reazionaria, pronta a tutto pur di mantenere il suo. Un dubbio mi atterrisce: ne avranno il coraggio?
Ho fiducia invece in questa generazione di giovani, perché ha aperto gli occhi e ha scelto l’impegno e la responsabilità. Per me sono i nuovi partigiani, protagonisti di una lotta non violenta, che porteranno a termine la liberazione dell’Italia.
Dopo il fascismo, adesso tocca alla mafia.”
Tessere, mettere assieme cammini ed esperienze, consapevolezze, ideali, è un lavoro necessario per il compimento della nostra Costituzione.
E chissà che ci sia qualche giovane ad ascoltare. Perché di buona volontà ce ne sono tanti. Chissà che possano essere utili gli spunti di riflessione che arriveranno sabato…