Mi è tornata voglia di scrivere. E sì, diamo pure la colpa ai Pokemon.
Perché quando cerchi qualcosa da raccontare e niente ti sembra ne valga abbastanza la pena, anche i Pokemon possono tornare buoni a portare un po’ di serendipità e a farti trovare cose inattese.
Perché in fondo è anche per catturare qualche Pokemon che oggi sono andata a fare colazione in corso Fiume, da Lesca, camminando per non sentirmi in colpa per quella deliziosa brioche, ed è per scappare da un grosso ragazzone in piazza Pajetta che, accortosi del mio tentativo di conquistare la “sua” palestra Pokemon, ha iniziato ad inseguirmi apostrofandomi in malo modo, che mi sono infilata tra le bancarelle del Barlafus, il mercantino dell’antiquariato e delle cose vecchie di Vercelli. E così, approfittando del fatto che ero sola, con marito in montagna e poca fretta di ritrovarmi a camminare per strade poco frequentate, mi sono fermata in una di quelle bancarelle piene di libri datati.
“2 libri 5 €” recitava il cartello. E lì davanti a me erano impilati tutta una serie di vecchi volumi Einaudi.
Eccola una vecchia edizione di “Lessico Famigliare” di Natalia Ginzburg, l’ho letto tanto tempo fa… Dentro c’è un vecchio volantino di una scuola di lingue coi prezzi in lire. È un segno che da questa bancarella devo per forza portar via qualcosa.
Sotto c’è un altro vecchio libro, un’altra edizione Einaudi, “La bella di Lodi” di Alberto Arbasino. Così, per curiosità, lo sfoglio, confidando in un altro volantino. Ci trovo una lettera, comincia con un “Ciao Mamma”. Li prendo tutti e due, il libro della Ginzburg e quello di Arbasino. E già così mi sembra ne possa uscire una bella storia, se non altro perché non vedo l’ora di raccontarla a qualcuno.
A casa leggo la lettera. È scritta da una ragazza, si firma come Marcella. È indirizzata alla madre, con cui, si intuisce, il rapporto non è poi tanto felice, sono alcuni appunti sul suo stato di salute, frasi di circostanza, frecciatine. È a Monaco, per un corso di lingue, mi sembra di capire. Mi viene da pensare sia una lettera da primi anni ’70, un po’ perché il libro è del ’72, un po’ per la forma in cui è scritta, un po’ per la carta da lettere rosa, molto hippie.
È lì, in fondo alla pagina della carta da lettere che c’è un marchio: Fulgenzi.
Ecco qualcosa da chiedere a Google.
Io chi fosse Giancarlo Fulgenzi prima di farmi inseguire da un ragazzone geloso della sua palestra Pockemon, infilarmi in un mercantino dell’antiquariato, comprare un vecchio libro per leggermi la lettera al suo interno, provare a scoprire qualcosa di più di quella corrispondenza, beh, non lo sapevo.
Come immagino ben pochi dei qui pochi lettori. Eppure è uno che si è inventato qualcosa che ha riguardato eccome la mia vita di ragazzina.
Giancarlo Fulgenzi, scopro così, è ancora vivo. Ha smesso da poco di gestire un ristorante di sua proprietà vicino ad Arezzo. Ma prima di darsi alla ristorazione è stato un creativo, leggo in quel poco che il web contiene di quegli anni, che alla fine degli anni ’60 aprì in tutta Italia “Le botteghe di Fulgenzi“, contenitori di prodotti artigianali in stile pop che contribuirono a portare in Italia nuove modalità di intendere forme, colori e materiali. Le sue botteghe furono anche i primi negozi “self service” italiani, dove i prezzi delle merci erano esposti sugli scaffali, anticipando quindi i tempi del commercio contemporaneo. Si rivolgevano ai giovani del nuovo ceto medio che stava nascendo in Italia: un po’ come quello di cui faceva (fa?) probabilmente parte la nostra Marcella che, mentre studia lingue a Monaco, scrive alla madre su carta da lettere Fulgenzi.
E nacque in quelle botteghe il famoso diario con il lucchetto, quell’oggetto che tutte le ragazze che sono state bambine negli anni ’80 hanno ricevuto almeno una volta in regalo. L’illusione di poter trascrivere un segreto ci arriva da lì (illusione che nel mio caso durò il tempo brevissimo di imparare ad aprire il mio stesso lucchetto con una forcina).
Su Internet di quel che quest’uomo costruì si trova assai poco. E come sempre delle cose di cui su internet si trova assai poco -ossia quasi tutto ciò che è accaduto prima di Internet, ma non abbastanza vecchio da diventare materiale di ricerca storica- non posso fare a meno di perdermi in un paio d’ore di indagini. In un suo sito (molto vecchio e quindi poco mantenuto) c’è qualcosa della sua storia e di quello che realizzò (sì, faceva anche carta da lettere nello stile di quella che ho tra le mani!). Ho trovato poi una sua lettera che racconta della sua collaborazione con Ciao 2001, che scopro essere una rivista musicale molto in voga negli anni ’70. E poi una video intervista su Youtube.
“Beh” direte voi “E questo con Marcella cosa c’entra?”
Non lo so. Ma ho visto che il signor Giancarlo sta vendendo su Subito.it molti pezzi della sua collezione, fatta di cose prodotte da lui nel tempo e da cose raccolte negli anni. (Un po’ come ha fatto Marcella con le cose di sua madre o i figli di Marcella con le cose della madre o della nonna o di entrambe.)
E mi viene da pensare che forse questa storia, quella di Fulgenzi, avrebbe meritato qualcosa di più. Perché a scoprirla, così, adesso, ecco, beh, un po’ mi emoziona. E invece è una storia che rischia di finire in quel buco della Storia, in uno dei buchi che la storia ogni tanto produce, che si porta via il ricordo di tutto, fosse anche soltanto quello di un uomo che contribuì a cambiare il modo di intendere l’artigianato italiano, che contribuì ad illuderci di poter trascrivere i segreti e che forse nel frattempo non pensò abbastanza alla pensione.
Poi magari mi sbaglio. Magari no.
P.S.: Ma qualcuno di voi se ne ricorda di queste Botteghe di Fulgenzi? Se avete qualcosa da aggiungere mi scrivete?