Da un paio d’anni ho una piccola collaborazione con l’Università di Trento. Seguo i canali social di un interessantissimo progetto dedicato al Centenario della Prima Guerra Mondiale. Si chiama La Grande Guerra +100 ed è un calendario digitale che ogni mese affronta un tema legato all’evolversi del conflitto bellico. Vi contribuiscono ogni mese ricercatori non solo italiani ed ogni episodio è approfondito attraverso l’uso di infografiche, raccolte di fotografie, articoli di approfondimento, biografie di personaggi che in qualche modo hanno avuto un ruolo all’epoca del conflitto, testimonianze. Sono le testimonianze la parte che ogni mese mi tocca di più: racconti talvolta davvero strazianti, desolanti, di soldati e testimoni di una guerra che di grande ha avuto solo l’orrore.
[Chissà se ricorderei qualcosa in più se avessi studiato storia in questo modo al liceo. Se avessi letto il racconto di chi c’era avrei dimenticato la Battaglia delle Somme? Chissà se a scuola me ne hanno poi mai parlato.]
Ma questa è solo una piccola premessa alla storia che vi voglio andare a raccontare. Premessa che vuole soltanto sottolineare come mai questa vicenda mi sta sempre più a cuore. Vicenda che però, prima richiede un’altra piccola premessa.
Gli anni del dopoguerra furono caratterizzati dalla volontà di ricordare la memoria dei caduti (circa 650 mila i soldati italiani, quasi altrettanti i civili), ed è all’interno di questa dinamica che vennero realizzati monumenti, lapidi e i Parchi e Viali della Rimembranza.
A promuovere il progetto fu il sottosegretario alla Pubblica Istruzione del governo Mussolini, Dario Lupi (sostenuto dal ministro Giovanni Gentile), il quale nel dicembre del 1922 inviò ai Regi Provveditori agli Studi una circolare che invitava le scolaresche d’Italia a farsi «iniziatrici dell’attuazione di una idea noblissima e pietosa: quella di creare in ogni città, in ogni paese, in ogni borgata, la Strada o il Parco della Rimembranza. Per ogni caduto nella grande guerra, dovrà essere piantato un albero; gli alberi varieranno a seconda della regione, del clima, dell’altitudine. […] La strada o il Parco dovrà comprendere non meno di venti alberi […]»
Il Piemonte fu tra le regioni che realizzò il maggior numero di Viali della Rimembranza e uno di questi si trova proprio a Vercelli, a pochi passi da casa mia. Venne realizzato tra il 1927 e il 1928 e non a caso è segnalato nei siti che ricordano con nostalgia i monumenti del ventennio.
Ancora oggi è un viale maestoso, frequentato quotidianamente da persone a piedi o in bicicletta, punto di ritrovo degli anziani che sulle sue panchine dibattono sui risultati delle partite di calcio. La sua funzione di memoria si è assottigliata nel tempo, tra fiere, mercati e forse poca voglia di ricordare davvero.
Eppure sta lì, monumento naturale a ricordo. E un poco di rispetto dovrebbe meritarlo, come lo meritano i monumenti e le pietre poste a testimonianza di tragedie che non vogliamo vedersi ripetere mai più. Ha invece effetti collaterali la smemoratezza – e che brutte figure può far fare!
Ecco che che cosa succede, ormai da qualche mese, sia alla pietra posta lato Piazza Solferino, sia dall’altro lato del viale.


L’imbrattatore colpisce, qualcuno segnala al Comune (abbiamo scritto e segnalato in tanti), il Comune pulisce, l’imbrattatore colpisce nuovamente: nel giro di 4 mesi la scritta è stata rimossa almeno un paio di volte per poi ricomparire.
Per chi non lo sapesse -come non lo sapevo io, ma per fortuna a Vercelli c’è chi conosce bene la storia – il Muti a cui l’imbrattatore vorrebbe forse dedicare il viale è tale Ettore Muti, che sì, prese parte alla Prima Guerra Mondiale, ma non certo con più “onore” di tanti altri. Ritornò dalla guerra vivo e vegeto, a differenza dei caduti che il viale vorrebbe ricordare, e in seguito fu un convinto sostenitore del fascismo. Nel vercellese il suo nome è rimasto alla memoria per essere associato ad una legione fascista che qui operò brutalmente durante la Resistenza.
Anche Casa Pound ci attaccò un adesivo qualche tempo fa: è stato più facile rimuovere quello che la scritta che, come potete vedere passandoci, non è stata levata senza lasciare il segno. [Il nuovo pensiero fascista si calpesta da solo, sporcandosi la memoria per propria mano, danneggiando qualcosa che compie l’anno prossimo 90 anni e avrebbe potuto compierli in stato migliore, sfigurando i suoi simboli, proprio i più condivisi per il significato che acquisiscono guardandoli con gli occhi dell’oggi.]
L’ignoranza ha un costo collettivo: i danni che comporta li paghiamo tutti.
Quale pensiero arzigogolato se non l’ignoranza può aver portato qualche nostalgico del ventennio ad imbrattare un monumento del ventennio realizzato per ricordare i troppi soldati caduti nel conflitto (439 furono quelli che provenivano dalla sola Vercelli)? Monumento che richiede pulizie non banali, perché non banale è rimuovere correttamente quel pennarello sulla pietra e quindi interventi da parte del Comune.
Tra ottobre e novembre a Vercelli si ricorderanno le medaglie d’oro vercellesi della Prima Guerra Mondiale. Chissà che per allora quel monumento ritorni ad essere pulito e pulito resti.
Chissà che l’imbrattatore riprenda in mano i libri di storia. Per il suo bene e per il nostro. Ché la memoria confusa non ci aiuta a costruire un futuro migliore. E questo centenario di tragedia ha ancora molto di cui farci riflettere.
“Che cosa mi è passato per la testa quando era scoppiata la guerra del ’15? Eravamo innocenti totali, non sapevamo perché facevamo quella guerra, capivamo proprio niente. Ne parlavamo solo tra noi, tutta gente che non avevamo scuole, che non leggevamo i giornali (…) Io a scuola avevo imparato l’alfabeto e a coltivare i rapanelli e il prezzemolo, ho ancora quel libro sul quale abbiamo studiato sei tra fratelli e sorelle”
Pietro Balsamo (Margarita – Cuneo, classe 1894, Contadino)
P.S.: E visto che storico non sono se vi sono inesattezze segnalatemele pure, non volevo certo fare una lezione di storia, ma provare a dire che sono davvero stufa.
[AGGIORNAMENTO: la pietra è stata pulita. È passato qualche giorno e l’imbrattatore non è più tornato all’attacco. O è in ferie o ha studiato, chissà.]