Parole di fine anno aspettando che Crisi compia 10 anni

Tra qualche settimana entreremo nel 2018. Bambini che compiranno nell’anno nuovo 10 anni saranno nati e cresciuti accompagnati dalla crisi, dalla sua onda lunga, dalla ripresa lenta .

E mentre leggo l’ennesimo post dell’ennesimo gruppo su Facebook in cui qualcuno chiede quanto farsi pagare un preventivo e qualcun altro risponde proponendo il suo webinar sul tema a soli 50€, non riesco a fare a meno di pensare che avrei potuto vivere nell’era della condivisione davvero, se solo il contesto fosse stato migliore. Se fossimo stati un po’ migliori.

Sarà che mi è capitato nell’ultimo anno di raccontare a dei 18 enni – ma anche a dei 24 enni – che c’è stato un tempo in cui si aprivano blog senza pensare di farci dei soldi. Un tempo in cui chiedevi su Twitter un suggerimento per un applicativo che ti aiutasse a fare qualcosa e zac, ti rispondevano in dieci senza ricordarti che per imparare quella cosa avevano studiato 10 anni.

“Sono cambiati i mezzi” potrebbe dire qualcuno.

“È colpa di Zuckerberg” qualcun altro.

Non avrà nessuna valenza scientifica, ma ecco che penso che invece, tristemente, siamo un po’ cambiati noi. Dove con “noi” intendo quel pezzo piccolo, piccolissimo d’Italia che per primo prendeva tra le mani strumenti nuovi e provava a vedere cosa permettevano di fare, gente nata negli anni ’70, qualcuno negli anni ’80, che sapeva qualcosa di qualcosa e si poteva finalmente permettere un’ADSL.

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I costi collettivi dell’ignoranza

Da un paio d’anni ho una piccola collaborazione con l’Università di Trento. Seguo i canali social di un interessantissimo progetto dedicato al Centenario della Prima Guerra Mondiale. Si chiama La Grande Guerra +100 ed è un calendario digitale che ogni mese affronta un tema legato all’evolversi del conflitto bellico. Vi contribuiscono ogni mese ricercatori non solo italiani ed ogni episodio è approfondito attraverso l’uso di infografiche, raccolte di fotografie, articoli di approfondimento, biografie di personaggi che in qualche modo hanno avuto un ruolo all’epoca del conflitto, testimonianze. Sono le testimonianze la parte che ogni mese mi tocca di più: racconti talvolta davvero strazianti, desolanti, di soldati e testimoni di una guerra che di grande ha avuto solo l’orrore.

[Chissà se ricorderei qualcosa in più se avessi studiato storia in questo modo al liceo. Se avessi letto il racconto di chi c’era avrei dimenticato la Battaglia delle Somme? Chissà se a scuola me ne hanno poi mai parlato.]

Ma questa è solo una piccola premessa alla storia che vi voglio andare a raccontare. Premessa che vuole soltanto sottolineare come mai questa vicenda mi sta sempre più a cuore. Vicenda che però, prima richiede un’altra piccola premessa.
Gli anni del dopoguerra furono caratterizzati dalla volontà di ricordare la memoria dei caduti (circa 650 mila i soldati italiani, quasi altrettanti i civili), ed è all’interno di questa dinamica che vennero realizzati monumenti, lapidi e i Parchi e Viali della Rimembranza.

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Di quando un anno fa decidevo di tornare all’università

Un anno fa, giorno più giorno meno, mi sono rimessa a studiare.

Occorreva fare un colloquio d’ammissione per iscriversi alla laurea magistrale a cui avevo puntato e mi son detta “Bene. Se riesco a leggere i tre testi previsti dal programma, se riesco a capirci qualcosa, se riesco ad essere sufficientemente convincente coi docenti a colloquio, ecco, allora mi iscrivo.”

Avevo all’epoca un contratto di lavoro part time a tempo indeterminato -mi occupavo di comunicazione nel settore dell’automotive – di cui percepivo, in ogni caso, prossima la fine: certo, non sapevo la fine si sarebbe manifestata proprio di lì a 2 mesi, ma l’esperienza mi insegnava che era bene non farsi trovare impreparati. Perché succede così quando si perde un lavoro: ci si ritrova impreparati, anche quando si tratta di un contratto a tempo determinato. Impreparati a gestire il proprio tempo, le proprie paure, ci si ritrova a farsi andar bene qualsiasi cosa, a ritenere il meglio per sé ormai impossibile.

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Di quella volta che ho scritto un libro

È uscito da poco, pochissimo, è piccolo e pieno di colori. E c’è il mio nome sopra. Una piccola emozione.

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Come fare… la riparazione dei computer” edito da Gruppo Editoriale Simone per la collana “Come fare” è un libro che comincia la sua storia un po’ di tempo fa: ero da poco arrivata a Vercelli quando Michele Pasino mi coinvolse nell’idea di scrivere un piccolo manuale per aiutare le persone a riparare da sole il proprio computer nella speranza di aiutarle ad essere un pochino più autosufficienti da tecnici, nipoti e cugini.

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Gilgi, una di noi

Il primo libro che leggo ogni anno è da un po’, come per tradizione, qualcosa di arrivato sotto l’albero. Quasi sempre qualche titolo inaspettato.

Ed è stato del tutto inaspettata la storia e l’evolversi di questoGilgi, una di noi” (L’Orma editore) scritto da Irmgard Keun negli anni ’30 e ambientato nella Germania di quel tempo.

All’epoca il libro venne bruciato, ma non prima di ricevere un grosso consenso in tutta Europa, tanto da venir pubblicato, censurato, anche nell’Italia fascista.

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Storie dall’anno nuovo

Col passare del tempo l’inizio dell’anno nuovo mi carica sempre più di buoni propositi.

E così, nell’ottica che “quel che fai a Capodanno poi lo fai tutto l’anno” il primo gennaio del 2017 mi sono armata di buona volontà per andare a camminare: “10.000 passi oggi, chissà che mi istighino a 10.000 passi anche domani” mi son detta e così, dato il buongiorno a Marito, bardata come un orso polare, sono uscita a dare il mio buongiorno anche ad una città silenziosa e deserta come solo il primo dell’anno può ancora essere alle nove del mattino. Incontro un signore con il cane, lo sorpasso, ammiro le foglie coperte di brina, cerco di convincermi che non è stata poi una così pessima idea.

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I Pokemon, la serendipità, le storie

Mi è tornata voglia di scrivere. E sì, diamo pure la colpa ai Pokemon.

Perché quando cerchi qualcosa da raccontare e niente ti sembra ne valga abbastanza la pena, anche i Pokemon possono tornare buoni a portare un po’ di serendipità e a farti trovare cose inattese.

Perché in fondo è anche per catturare qualche Pokemon che oggi sono andata a fare colazione in corso Fiume, da Lesca, camminando per non sentirmi in colpa per quella deliziosa brioche, ed è per scappare da un grosso ragazzone in piazza Pajetta che, accortosi del mio tentativo di conquistare la “sua” palestra Pokemon, ha iniziato ad inseguirmi apostrofandomi in malo modo, che mi sono infilata tra le bancarelle del Barlafus, il mercantino dell’antiquariato e delle cose vecchie di Vercelli. E così, approfittando del fatto che ero sola, con marito in montagna e poca fretta di ritrovarmi a camminare per strade poco frequentate, mi sono fermata in una di quelle bancarelle piene di libri datati.

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Della memoria e della politica

La primavera è per me ogni anno il tempo del respiro. Respiro tutta l’aria che posso e corro senza correre, dietro ad eventi che si susseguono, spesso rendendomi colpevole del loro capitare. Ma è il momento in cui l’aria è più bella, in cui è maggiore la voglia di uscire, in cui i buoni propositi si riescono a tirare fuori dalle tasche e si provano a mettere in atto. In piazza quando occorre. E ogni tanto sì, occorre.

Così il 19 marzo assieme a Tiziana, Claudio e a varie associazioni di Vercelli abbiamo letto sotto i portici del municipio di Vercelli un po’ di storie di vittime innocenti delle mafie. Lo abbiamo fatto in preparazione del 21 marzo, la Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie che Libera porta avanti ormai da anni, lavorandoci per un bel po’ di ore del nostro tempo libero, andando a caccia di materiali, contatti, trasformando in azione il nostro bisogno di condividere un atto di memoria.

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Quando traslocare, in Italia, era vietato

Mi è capitato tra le mani in questi giorni Prediche inutili, una raccolta di saggi e testi scritti da Luigi Einaudi, pubblicato nel 1959. In questo libro Einaudi racconta un po’ di tutto con gli occhi sul presente del suo tempo e questo rende molte delle 400 pagine, per me, lettrice random, una sorta di scatola magica di informazioni da approfondire.

C’è un Italia di cui non avevo mai sentito raccontare in quelle pagine e son dovuta ricorrere  agli archivi storici della Camera per capirne qualcosa di più.

Fino al 1961 erano in vigore in Italia due leggi, una del 1931 e una del 1939, che facevano sì non si potesse prendere la residenza né iscriversi all’ufficio di collocamento nel comune desiderato. Occorreva dimostrare di possedere un’occupazione stabile nel comune ove si intendeva andare a vivere per potervici trasferire: no, negli anni ’50 la stabilità occupazionale non era affatto una cosa normale e il “posto fisso” neppure.

A leggere di queste leggi e delle conseguenze che ebbero su migliaia di italiani nel secondo Dopoguerra, mi è sembrato di capire un po’ meglio la lentezza e la cecità con cui si vive il tema delle migrazioni oggi in Europa.

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